‘Esemplare’.
C’è una nostra canzone che porta questo titolo.
Il ritornello dice: ‘Nessuno vuol fare da esempio / ciascuno è una perla un po’ rara / nessuno si sente d’esempio però / se occorre di esempi ne fa’.
Vorremmo utilizzare queste parole per spiegare la nostra posizione, come gruppo musicale, rispetto all’utilizzo di questo mezzo di comunicazione: i tanto citati ‘social’.
Proviamo a partire dal particolare per poi allargare il ragionamento al generale.
Il particolare: qualcuno avrà notato che di solito su questa pagina non esprimiamo giudizi sulla situazione politica, sulle nostre scelte in questo campo e su molte questioni sociali che di volta in volta si pongono all’attenzione dell’opinione pubblica. Ovvero di tutti noi. Ci sono state eccezioni, e più avanti avremo modo di spiegare quali.
Dunque, due parole su questa scelta: anche noi abbiamo opinioni politiche, anche noi ci commuoviamo o indigniamo di fronte alle pagine dei giornali (siano essi on-line o cartacei), anche noi in sala prove commentiamo ciò che avviene nel mondo, nel nostro paese o nella nostra città. Volano paroloni, qualche volta, lo dobbiamo confessare, è una cosa umana e lo è ancora di più di fronte a un caffé. Discutiamo, ci confrontiamo, poi di solito Baracco attacca con un riff di basso e si suona.
E allora di tutto questo chiacchierare, com’è che qui sui social non filtra nulla? Cos’è, siamo dei paraculi che non vogliono inimicarsi nessun ascoltatore?
In parte sì. E c’è del rispetto, in questo, credeteci. Perché facciamo musica. Perché lavoriamo in un campo che ha soprattutto a che fare con le emozioni e la poesia.
Sebbene il nostro nome sia prevalentemente legato a un immaginario fatto di malinconiche ballate amorose, c’è più di un testo dei Perturbazione con un forte carattere politico. Ma per l’appunto, è lì che ci piace stare, nelle canzoni, che abbiamo sempre cercato di comporre in modo empatico, tutt’altro che militante, domandandoci sempre dove fosse necessario fermarsi per dare modo all’ascoltatore di completare la canzone con le proprie emozioni, di riconoscersi. Di farsi domande, anziché trovare risposte.

Tuttavia c’è di più. Noi questa cosa abbiamo deliberatamente scelto di NON farla per una ragione molto pratica ma ancora più importante: perché questo NON è il posto giusto.
Facciamo un esempio pratico, ancora più nel dettaglio, così avremo modo di concludere allargando il campo visivo. Sarebbe facile indignarsi per quello che accade in questi giorni rispetto alla questione dell’immigrazione. E’ l’argomento perfetto: buttiamo un’altro ceppo, che così la rete si scalda. Ecco, a noi questa cosa dà parecchio noia. Perché la domanda che ci poniamo, prima di soddisfare quel bisogno infantile di dover per forza dire la propria, la domanda che ci poniamo è: cosa facciamo noi per questa cosa? Allargando un po’: cosa facciamo noi per il prossimo?
Ci piace citare il vecchio Phil Collins, che quando parla di ‘Another Day in Paradise’, il suo successo datato fine anni ottanta, dedicato ai senza fissa dimora, dice più o meno questo: se sei un multimilionario e fai un pezzo sugli homeless, come minimo giri tutti gli incassi alle associazioni che si occupano di loro. Cosa che Phil in effetti ha fatto, almeno stando a quanto dichiara nella sua autobiografia.
I Perturbazione non sono multimilionari, su questo non c’è ombra di dubbio. Ma vale lo stesso ragionamento, per quanto ci riguarda: a questo punto possiamo citare le eccezioni di cui sopra, tipo la campagna ‘L’accoglienza fa bene’ di qualche anno fa, organizzata da una Onlus nel Comune di Asti, per la quale ci siamo messi una maglietta e fatto una foto che ripubblichiamo qui (fate caso ai commenti che senza leggere questo testo probabilmente ci insulteranno solo per la frase, quel che si dice, lo specchio dei tempi).
E’ solo un esempio (esemplare…) ma va benissimo per illustrare il ragionamento.
Cosa abbiamo fatto noi, oltre a questo, per lavorare per il bene comune?
Poco, purtroppo. Troppo poco.
Però una cosa tentiamo di farla tutti i giorni: prestiamo molta attenzione a non spararle grosse, a scrivere di politica e società solo quando siamo coinvolti in prima persona (allora sì, quando siamo parte attiva, è giusto e doveroso esprimere la nostra opinione e non nasconderci dietro a un dito). Abbiamo sempre cercato di usare, rispetto alla comunicazione, una ‘politica’ che non premia sicuramente i picchi di visualizzazioni ma tenta di rispettare tutti voi. Tutti.

Perciò, concludendo ed allargando: non è che esista una patente per cui uno è autorizzato a spararle grosse, sia esso l’avventore qualunque al bancone di un bar oppure, per usare un altro esempio, il Ministro dell’Interno. Non esiste l’attestato di militanza, non esiste l’attestato di indignazione: se la comunicazione sceglie questa forma, si imbarbarisce, che sia di destra o di sinistra, sempre vola mediamente basso, a volte rasente terra, ultimamente scava nel fango. Non è comunicazione, è vomitare addosso al prossimo il tuo livore.

Il nostro umile consiglio è: restiamo calmi, riflettiamo, cerchiamo di essere gentili e aperti, la buona educazione è fuori moda ma è ancora un valore. Leghiamoci le mani, resistiamo all’impulso malsano di urlare più forte. Cosa resta delle ore in cui dibattiamo nei commenti a un post a favore o contro l’immigrazione? Qualcuno di noi ha mai modificato radicalmente la propria opinione o posizione politica dopo aver sprecato tre ore a replicare su un forum o nei commenti a un post qualsiasi? Forse sarebbe ora di uscire a fare volontariato in una delle mille realtà che cercano di creare incontro, anziché divisione. Fratellanza, anziché separazione.
L’impulso a scambiare una tastiera e un monitor con la reale comunicazione soddisfa soprattutto una necessità: colmare il disagio che sentiamo nel non essere abbastanza attivi nella vita reale rispetto alle questioni sociali che sentiamo urgenti intorno a noi.
Questo è tutto ciò che abbiamo da scrivere sulla faccenda.
Ora torniamo a fare quello che ci piace e forse ci riesce meglio: scrivere canzoni.
Con un po’ di fortuna, potrebbero diventare ‘esemplari’.